Palestina. Le operazioni militari e quelle mediatiche.

Il corpo di un bambino trucidato, sventrato, sanguinante. Il cadavere di un uomo fatto a brandelli, con nel viso, magicamente risparmiato, ancora l’espressione del terrore. Una donna colpita a morte, non piu’ riconoscibile. Le immagini che arrivano da Gaza sono le solite del 2009, manca solo la voce di Vik a raccontarcele. Una drammatica ripetizione di eventi, senza fine, senza soluzione. E, dall’altra parte, la mano grondante sangue di uno Stato assassino, sostenuto in tutto e per tutto dagli sciacalli di un Occidente sempre piu’ infame. E un diffuso senso di impotenza, inferiore solamente alla rabbia, all’indignazione, al furore.

Esiste un’unica verita’ sulla Palestina, tutto il resto e’ vergognosa menzogna. Una menzogna fatta di ingiustizia, e prevaricazione imperiale, di pulizia etnica, fascista e infame. Ma come puo’ la popolazione mondiale – gran parte della popolazione mondiale, perche’ noi Area Antagonista nel suo complesso abbiamo fatto della Palestina terra emblematica della battaglia contro l’ingiustizia – accettare passivamente tutto questo? Non esiste una coscienza collettiva pronta ad indignarsi e a mobilitarsi per tanta vergogna?

Andando al lavoro ascolto la radio. Non sempre riesco a prendere la mia stazione di riferimento, Radio Popolare, che fra tanti difetti e pur avendo una posizione politica sempre meno condivisibile, mantiene sugli avvenimenti internazionali un’autorevolezza e una puntualita’ mirabile. Devo fare zapping e mi fermo su Radio 1 Rai, dove sta iniziando il Gr. Immediatamente lanciano la notizia di un attentato nel centro di Tel Aviv. Ma e’ un’altra parte dell’intervento del giornalista che mi colpisce. Cioe’ quando sottolinea con insistenza, con ferocia, con freddezza calcolata e colpevole, un particolare che altrove non ho letto ne’ sentito (non ho intenzione di metterne in dubbio la veridicita’, bensi’ di sottolinerane la malignita’ calcolata): la televisione nazionale palestinese avrebbe narrato la notizia dell’attentato con grande gioia e con felicita’ pari a “..quando si racconta un gol della propria squadra del cuore”.

Per avere un quadro della situazione di cio’ che accade nel mondo, mi servo spesso dell’Ansa, fondamentalmente agenzia di stampa sempre meno oggettiva e sempre piu’ asservita agli interessi del potere. Questa volta mi colpisce una fotografia. Riguarda ancora Gaza e riprende i festeggiamenti per la conclusione dell’operazione militare israeliana. La foto, bella, reale riprende un bambino, avra’ 5 anni,  con una pistola in mano. La didascalia sottolinea la differenza fra la realta’ palestinese e quella occidentale, come a dire fra la barbarie e il progresso.

Ho raccontato questi due episodi come per fornirmi una spiegazione. Non esiste nei conflitti attuali una situazione piu’ chiara e lampante della Palestina, in cui la responsabilita’ della guerra, dell’aggressione, dell’occupazione sia piu’ facile da dimostrare. E’ una vicenda a senso unico dove qualcuno attacca e qualcuno viene continuamente attaccato, sfruttato, villipeso, massacrato. L’opinione pubblica occidentale potrebbe naturalmente comprendere tutto questo, bisogna quindi sottoporla continuamente a un’operazione di mistificazione della realta’.

Una realta’ in cui il popolo palestinese dev’essere percepito come disumano, feroce, barbaro. Capace perfino di esultare goliardicamente per un attentato o di annullare il diritto sacro del bambino a vivere la propria eta’. Dopotutto disumanizzare il nemico e’ stato sempre principio fondamentale di ogni propaganda imperialista.

Come se non fosse la guerra d’Israele la prima causa di questa perdita d’umanita’. Vik l’aveva capito prima e meglio di altri ed infatti ha coniato la magnifica forma di saluto “Stay Human”, Restiamo Umani.

La Palestina ci sta provando. E noi con lei.

 

Pubblicato in Palestina | Contrassegnato , , , | Commenti disabilitati su Palestina. Le operazioni militari e quelle mediatiche.

Amare un Centro Sociale

La nostra è una generazione maledetta. Chi è nato a metà degli anni ’70 è cresciuto nella consapevolezza di un costante senso di inadeguatezza politica: gli echi della stagione della contestazione ci hanno accompagnato per tutta la vita, senza poterne cogliere l’essenza, imprigionati nel nulla politico degli anni ’80. E allorchè gli anni ’90 portano un illusorio barlume di risveglio (la Pantera soprattutto, ma non solo), la cultura della real politik lo rispedisce immediatamente in un angolo.

Pensavo a tutto questo mentre il 5 ottobre, assieme a decine di compagni entravo in un posto occupato, abbandonato, ferito, con l’idea di trasformarlo in un laboratorio politico, sociale, culturale.

Già, i Centri Sociali. Per noi poveri sfigati di provincia hanno rappresentato allo stesso tempo, modello a cui tendere e utopia irraggiungibile. Una generazione ribelle, antagonista, figlia in tutto e per tutto dell’epoca della ristrutturazione, provava a recuperare un pensiero figlio degli anni ’70, e a riproporlo con un vento di novità e un senso di conflittualità nuovo e adattato ai tempi. Noi vivevamo di riflesso quella stagione, e io più di riflesso degli altri, io che avevo ancora la testa costantemente al calcio (altra utopia irraggiungibile, ma questo è un altro discorso). Ma i ragionamenti, i discorsi, i tentativi, gli errori, le proposte arrivavano e noi le elaboravamo alla nostra maniera. Le esperienze di occupazioni tentate – dal teatrino, allo stabile dell’Aurelia -, il contatto con il livello regionale attraverso il periodico Comunicazione Antagonista, le prime feste di Rifondazione a cui partecipavi con l’idea della Rivoluzione (o più propriamente della Rivolta), non facevano altro che rimarcare la differenza fra la nostra precarietà e un livello di Antagonismo che auspicavamo e che guardavamo ammirati, con la costante tendenza a mitizzare. E gli esempi non mancavano: dalla giornata “solenne” del 10 settembre 1994 a Milano, a Amsterdam 1997, ai nostri caduti Sole, Baleno, a molti altri.

Oggi c’è una diversa consapevolezza. Il percorso politico dei Centri Sociali ha fallito in gran parte delle città italiane, mescolatosi con la politique politicienne o persi in una dimensione auto-assolutoria tendente al ghetto. Ma di quell’esperienza conservo allo stesso tempo un fascino estetico straordinario, ma anche una possibile riproducibilità, dovuta alla brillante stagione passata ed anche a un’elaborazione nuova, che attribuisce a questi luoghi un ruolo diverso, nell’epoca della crisi dirompente.

A Montignoso stiamo provando a mettere in atto qualcosa di straordinario, che rompa l’ordinarietà dei nostri stanchi luoghi di provincia. Proviamo a pensare la convivenza in una dimensione conflittuale, riempiendola di contenuti, proposte, idee. Proviamo a immaginare un diverso tipo di relazione e un’autoeducazione al fare politica. E’ faticoso e spesso il risultato non è all’altezza dell’aspettativa. Ma è un tentativo di risposta antagonista e abbiamo dalla nostra parte l’entusiasmo di generazioni diverse di ribelli che provano ad elaborare un terreno comune.

Una famosa canzone, icona delle occupazioni degli anni ’90, parlava di “amare un centro sociale”. Ho sempre pensato che fosse una sorta di licenza poetica e che quell’ “amare” non fosse da prendere alla lettera. Ebbene, in questo primo mese di vita della Casa Rossa Occupata, ho riscoperto l’intima connessione realizzata nel dar vita ad un luogo, nel determinarne il percorso, nel contribuire a farlo crescere: una sorta di amore ti lega all’esperienza che stai realizzando.

Noi ci siamo, con una storia alle spalle, ma con nuovi orizzonti davanti. L’unica cosa che non cambia mai, come abbiamo visto anche in questi giorni, è l’arroganza del potere. Ma ci faremo i conti.

Casa Rossa Occupata vive!

Pubblicato in Antifascismo, Conflitti sociali, Crisi economica, Massa Carrara, Spazi Sociali | Contrassegnato , , , | 2 commenti

Urliamo con tutta la nostra voce per S.Anna di Stazzema

S.Anna di Stazzema è un non-luogo. Non i non luoghi antropologici di Marc Augè. E’ semplicemente un non-luogo fisico: non ha case o quasi, è una frazione che non esiste. O meglio acquista esistenza nella memoria dei sopravvissuti, nella dolorosa indignazione dei visitatori, nel ricordo degli antifascisti. In questo senso diviene luogo più di tutto: le sensazioni che ti provoca ti spaccano lo stomaco.                                                                  S.Anna di Stazzema ti colpisce prima di tutto per il silenzio. Silenzio dei monti e quiete del paesaggio. La Chiesa, il museo, il percorso verso il monumento sembrano rispettare la Storia. Ci andiamo ogni anno con i miei amici e compagni, in prossimità del 25 aprile: è un dovere, è un diritto. Quando sono là, dopo aver visto il museo, letto Calamandrei, osservato lo splendido ambiente naturale, sento un disperato bisogno di parlare, mentre ci arrampichiamo verso l’ossario. E’ come se dovessi fuggire dal senso di disperazione che ti lascia.                                                                                                                                          S.Anna di Stazzema è un monito non compreso. Prima di tutto dalla popolazione locale che non è riuscita a costruire una memoria condivisa su uno degli episodi più atroci della nostra storia. Ma è non compreso neppure dalle stanche liturgie delle commemorazioni che non colgono e non vogliono cogliere il messaggio inquietante di questo straordinario posto: un “mai più” che guarda al futuro verso una società di uguali e che non ha nulla a che spartire con la vergognosa rappresentazione in cui s’è trasformata la democrazia.                      S.Anna di Stazzema è una narrazione partecipante, che ognuno di noi può contribuire a creare. E’ come se fra quei 560 nomi elencati senza un apparente ordine, ci potesse anche essere quello di ciascuno di noi, improvvisamente.                                                             S.Anna di Stazzema è anche e soprattutto un fortissimo urlo contro la barbarie nazista e la canaglia fascista. Ti invade e ti accompagna. E scendi da quei monti col desiderio di vendetta, fortunatamente scacciato immediatamente, non perchè inumano, ma perchè non politico.

S.Anna di Stazzema è molte cose insieme. Ma sicuramente una cosa non è: la grigia burocrazia di un tribunale che trova il vergognoso coraggio di assolvere 17 accusati, ex SS ancora in vita, per mancanza di prove. Che vengano quassù a espiare la loro colpa, giudici, avvocati e accusati, tutti insieme. La storia, la natura di questo luogo, la nostra presenza hanno già giudicato. Non abbiamo bisogno di alcuna sentenza.

Pubblicato in Antifascismo | Contrassegnato , , | 1 commento

L’ipocrisia dell’ascolto del cittadino. Dalla trasformazione della politica al “Movimento 5 Stelle”

Secondo un sondaggio online realizzato dal quotidiano Il Giorno per il 95 % delle risposte è giusto sgomberare un campo nomadi. Il sondaggio non ha ovviamente valenza statistica ma mi sembra indicativo.

“La Repubblica” di Platone è un testo affascinante e straordinariamente educativo per tutti coloro che hanno avuto la fortuna di leggerlo (o la sfortuna di studiarlo). Parla di politica, di amministrazione, di funzionamento dello Stato. Fra i numerosi spunti di riflessione ce ne sono alcuni che hanno costituito elementi cardine della storia politica del ‘900 e che il nostro millenio, con la sua voglia di novità a tutti i costi, ha vergognosamente dimenticato. Fra questi mi ha sempre affascinato la divisione dei ruoli all’interno dello stato determinata dalle inclinazioni individuali e delle appartenenze culturali: il filosofo doveva occuparsi dell’amministrazione per una naturale propensione a far prevalere l’interesse collettivo a quello individuale.

Ho sempre pensato che compito nobile e primario della politica e delle organizzazioni nate per farla, fosse quello di costruire, a partire da un’ideologia di fondo, un disegno complessivo della società all’interno del quale far confluire tutte le istanze particolari. E ho sempre pensato, in sintonia con l’idea platonica, che il fare politica spettasse a coloro che avessero la lucidità di far convergere le rivendicazioni immediate in questo disegno complessivo.                                                                                                                                  Insomma, ho sempre creduto che compito della politica fosse quello di ascoltare le istanze popolari e di inserirle in un contesto più ampio di trasformazione. La lotta particolare contro un’opera dannosa ha senso se è parte di una lotta più complessiva di riconsiderazione della società in cui viviamo, nella quale il momento conflittuale costituisce esempio per proporre un nuovo modello di società verso cui tendere.

E’ un dato di fatto che da diversi anni a questa parte non è più così. La rinuncia all’ideologia è stata drammatica. Non è facile elencare i responsabili di tutto questo, ma è facile dire che la progressiva trasformazione di una forza come il PCI (discutibile quanto si vuole, non è questo il punto) ha costituito la ragione primaria.

C’è poi chi in questa progressiva trasformazione del ruolo della politica sta svolgendo un ruolo decisivo e pericolosamente convincente.

Riflettevo l’altro giorno sull’iniziativa del Movimento 5 Stelle denominata “Programma Insieme”. Si basa sulla realizzazione di punti di raccolta sul territorio per ottenere dai cittadini delle proposte da inserire nel programma. Apparentemente un’iniziativa nobile e popolare. Se però proviamo ad analizzarla nel concreto nasconde al suo interno degli elementi pericolosi e fuorvianti.                                                                                                     Mi spiego anche in rapporto alla funzione della politica di cui parlavo prima. Il Movimento 5 Stelle ha rinunciato di principio all’ideologia. Ha programmi profondamente differenti da luogo a luogo, insegue il dogma della partecipazione, indipendentemente da ciò che dice chi partecipa. Di più, ha fatto della parola del leader un mantra intoccabile e indiscutibile.     Con questo ha sancito la sconfitta del ruolo primario della politica, quello non già di orientarsi a partire dagli istinti del popolo, bensì quello di provare a portare i cittadini a condividere un disegno complessivo della società in cui gli interessi particolari si inseriscano in un contesto più ampio di bene collettivo. Fare politica, fare movimento, soprattutto in un contesto così difficile come quello di oggi, è cercare di portare le persone a modificare le proprie convinzioni, costruite su decenni di paure indotte, sfruttamenti legalizzati, egoismi vari.                                                                                                                                                     Qui non si tratta di mettere in discussione il ruolo del cittadino come propositore, nè tantomeno di discutere l’autorganizzazione. Si tratta, al contrario, di tornare a vedere la politica come momento educativo di risoluzione dei problemi e momento di  progressiva trasformazione della società.

Se dovessi basare il mio programma su ciò che emerge in un punto d’ascolto di una periferia in rapporto all’immigrazione, credo che otterrei risposte di chiusura, escludenti, persino forcaiole (è ciò che è emerso ad esempio dalle voci raccolte a Turano sull’ipotesi di trasferirvi un gruppo di cittadini nomadi). Mio compito in questo caso non sarebbe quello di farmi interprete della volontà istintiva, ma piuttosto quello di pormi come soggetto in dialogo, con l’idea di trasformare questa concezione, inserendo la vicenda in una più complessiva idea di trasformazione, in cui diritto alla casa, al lavoro, alla mobilità siano garantiti per tutti.

I partiti politici nella stragrande maggioranza vi hanno rinunciato, qualcuno ci ha marciato su, ritagliandosi il ruolo di difensore del cittadino. Noi Movimento dobbiamo continuare a lottare in questa direzione.

 

 

Pubblicato in Antirazzismo, Grillismo & populismi vari, Massa Carrara | Contrassegnato , | Commenti disabilitati su L’ipocrisia dell’ascolto del cittadino. Dalla trasformazione della politica al “Movimento 5 Stelle”

Criminalizzare la notte è una loro strategia

Qualche giorno fa è uscito sui quotidiani locali un appello-richiesta di una cinquantina di cittadini per la chiusura di un locale. Paura e schiamazzi le motivazioni. Il desiderio del silenzio notturno e la necessità di evitare assembramenti potenzialmente pericolosi, sono stati addotti al fine di ottenere la chiusura.                                                                               Non è la prima volta che in diverse parti della città si assiste alla mobilitazione di uno sparuto gruppo di persone per difendere la sacralità del silenzio notturno. E non è la prima volta che i quotidiani locali, solitamente così restii a dar voce alle richieste della cittadinanza e alle mobilitazioni critiche e conflittuali, forniscono uno spazio smisurato a prese di posizione di questo tipo.                                                                                                                   Se inquadriamo la cosa in un contesto più ampio, vediamo come ogni richiesta di limitazione degli spazi e dei tempi di divertimento notturni viene immediatamente accolta dall’amministrazione, prontissima a restringere gli orari, aumentare il controllo, imporre il silenzio. Ma a guardar bene, si tratta di una tendenza nazionale sempre più diffusa, partita da sindaci sceriffi del centro-sinistra che ancora una volta hanno costituito testa di ponte per sperimentare pratiche di chiusura: si pensi a Cofferati a Bologna, a Domenici prima e Renzi poi a Firenze, a Filippeschi a Pisa. Le restrizioni della giunta Pucci in tal senso, sono perfettamente allineate.

A pensarci bene, quella che può apparire come una semplice misura logica, tutta questa logicità non la possiede. Se rimaniamo sul piano del puro piano elettorale, le limitazioni delle amministrazioni colpiscono una nutrita fetta di potenziale elettorato ben superiore a coloro che dovrebbero guadagnarci da un’iniziativa siffatta. Inoltre la cosiddetta sacralità del riposo, in una società sempre più destrutturata e in un mondo del lavoro sempre meno legato agli antichi orari lavorativi, perde senso, progressivamente.                                       No, non è il rispetto del silenzio e il diritto al riposo la motivazione.

Bisogna spostarsi di livello e guardare le cose un po’ più astrattivamente. Il divertimento, specie quello notturno, la possibilità di trascorrere del tempo in relazione con gli altri, sono potenzialmente molto pericolosi. In primo luogo perchè sottraggono tempo all’attività lavorativa; secondariamente perchè sfuggono dal modello di svago proposto/imposto dalla cultura dominante. Ci vogliono soggetti adatti e pronti alla produzione, e la rottura della sacralità del silenzio notturno non è altro che una minaccia per la necessità di una forza lavoro abile e svelta. Tutto il tempo dello svago dev’essere concentrato nei non-luoghi del consumo, dove la possibilità della costruzione di relazioni, tipica di buona parte del divertimento notturno, non deve trovare spazio. La trilogia del produci-consuma-crepa su cui il mondo Capitalista ha basato la propria esistenza non può rischiare di esser messa in discussione: ci vuole ingranaggi della produzione, ben oliati e pronti.

Vista in quest’ottica assume tutto un altro significato anche la campagna limitativa in atto nelle città italiane.                                                                                                                              A noi non resta che prendere coscienza di tutto questo ed ancora una volta opporci a questa, come a tutte le misure repressive in atto. E per farlo, dobbiamo provare a stravolgere la trilogia del Capitale, impossessandoci del nostro tempo nella sua totalità, compreso il divertimento: una risata notturna li seppellirà.

Pubblicato in Massa Carrara, Repressione | Contrassegnato , , , | Commenti disabilitati su Criminalizzare la notte è una loro strategia

Confessione pubblica del candelotto di dinamite trovato su un traliccio dell’Alcoa.

Cari amici, vi devo delle scuse.

Ho provato a dimenticare i fasti del tempo che fu. Ho provato a starmene buono buono, in attesa di un impiego nobile. Ma devo anch’io sfamare una famiglia ed ho anch’io un orgoglio: mi sono sentito attratto da un’ultima impresa che potesse darmi un briciolo finale di fama. Si, lo so. C’è stato un tempo che noi candelotti avevamo un’importante funzione sociale: eravamo fedeli compagni di lavoro di operai troppo sfruttati e spersonalizzati. Li aiutavamo nelle operazioni quotidiane al servizio dei padroni. Ma proprio per questo, avemmo un sussulto di ribellione e ci accordammo con gli sfruttati per aiutarli a colpire l’aguzzino di turno.

Ah, che bei tempi, quando al solo sentire il nome della famiglia Dinamite, il potente temeva la rivolta.

Poi arrivarono i tempi della crisi. Venimmo abbandonati a noi stessi. Neppure nel lavoro ci utilizzavano più. La tecnica e la tecnologia avevano fornito agli operai strumenti diversi, nessuno di questi sufficiente per una vera emancipazione. E a noi non restò che rivolgerci ai potenti, agli sfruttatori, alla repressione. Fu difficile dover ingoiare il fatto di essere impiegati per spaventare le masse, reprimere le lotte, spoliticizzare le rivolte. Ma, insomma, come potevamo arrivare a fine mese?

Dopo tutto il periodo delle stragi nell’Italia della strategia della tensione, avevo deciso di ritirarmi a vita privata. Va bene essere un candelotto, ma, insomma, ho anch’io una coscienza di classe, seppur mescolata con la farina fossile e le sostanze assorbenti.

Però il tempo passa, la vecchiaia incombe e un sottile velo di depressione mi ha colpito. Così quando mi si è offerta la possibilità, accecato da onore e fama, ho detto di sì.                         In fondo non si sarebbe trattato di una vera esplosione: sarebbe stata semplicemente la mia sola presenza, come nei bei tempi andati, ad incutere terrore. E se veniva fatto al servizio dei potenti…beh…insomma pazienza.

A Portovesme, in Sardegna, un gruppo di operai hanno cominciato una sacrosanta lotta disperata per il posto di lavoro. Sono le ennesime vittime del processo di ristrutturazione in atto nel mondo Occidentale. Il Capitalismo deve salvare sè stesso e i suoi artefici, i ricchi. Non guarda in faccia a nessuno e men che meno a lavoratori di una multinazionale americana. Insomma… perchè avrei dovuto farmi io problemi di coscienza? Li hanno scaricati tutti: i padroni che guardano solo al profitto, i politici che difendono il sistema vergognoso in cui siamo, i sindacati che spengono ogni vero barlume di rivolta….

Ebbene ho accettato la proposta del potente di turno, anzi del rappresentante del gruppo di interessi. Mi son fatto legare ad un traliccio all’interno dello stabilimento. E’ stato sufficiente questo affinchè i profeti della repressione, i rappresentanti del potere potessero attaccare la lotta e provocarne la sconfitta certa.

Ma non ho resistito. Sono anch’io un proletario, un candelotto proletario. Confesso le mie colpe e anche quelle di altri miei compagni candelotti vendutisi al potente di turno, per seminare terrore e sconfiggere le lotte per la giustizia sociale.                                               Due sole richieste finali avrei da fare. Innanzitutto quella di porgere le mie scuse ai lavoratori dell’Alcoa. E poi, soprattutto quella di insegnare alla mia famiglia, ai miei figli, ciò che non sono stato in grado di fare io, magari facendovi aiutare da “Storia di un impiegato” di De Andrè: non ci sono poteri buoni, se non quelli in mano al popolo.

Un Candelotto

Pubblicato in Conflitti sociali, Crisi economica, Economia | Contrassegnato , , , | 1 commento

La “mia” Festa Antifascista

Sono fra gli organizzatori della Festa Antifascista di Marina di Massa.                           Quando ti imbarchi in un’impresa del genere, lo fai con diverse idee in testa, con l’entusiasmo del “fare”, con la voglia di incidere. Lo fai perchè credi nella tua capacità di dire qualcosa di Antifascista…

L’altro giorno provavo a riflettere sul significato di militare in una realtà che si definisce Antifascista, e, quindi, sull’Antifascismo. Sulla necessità di definire in positivo un qualche cosa che si caratterizza per essere prima di tutto la negazione di un qualcos’altro. Ho sempre pensato che essere Antifascista fosse in primo luogo opporsi alle caratteristiche politico-culturali di quel movimento confuso e superficiale che è stato il fascismo. Quindi al razzismo, al nazionalismo, al maschilismo patriarcale, all’ordine imposto, al rifiuto dell’alterità. Ma anche all’anti-egualitarismo, al militarismo, al senso dell’onore e della virilità, alle strutture gerarchiche e alle istituzioni liberticide.

Poi però, quando ti rendi conto che il tuo ruolo, il ruolo di una realtà collettiva, è quello di incidere nel mondo che ti sta intorno, quando vedi le caratteristiche e gli effetti della nostra società, capisci che tutto questo è insufficiente, che c’è bisogno di prospettare e teorizzare qualcosa di altro. E soprattutto ti rendi conto che il fascismo non è altro che lo sviluppo del Capitalismo in una sua particolare fase storica e che per combattere il Fascismo occorre prima di tutto adoperarsi con tutte le forze per superare il Capitalismo. In quest’ottica ho sempre pensato che l’obiettivo che dobbiamo porci, immediato anche se non immediatamente raggiungibile, è il superamento dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo…

Ero immerso in questi pensieri, l’altro giorno. Che si accavallavano con le necessità pratiche che l’organizzazione di una Festa comporta. E su ciò che ti aspetti, su quello che vorresti, sul clima che ti piacerebbe proporre ai frequentatori.

Una cosa su tutte dobbiamo evitare. Quel clima triste, nostalgico, di una militanza stantia, che spesso accompagna le iniziative dei compagni. Ho voglia di divertirmi e di proporre divertimento. Ho voglia di far emergere la mia idea di altro mondo da realizzare. Ho voglia di musica militante, di chiacchere notturne, di tempo passato con i compagni.

Abbiamo bisogno di allargare i temi di questa festa. Uno su tutti l’Antisessismo, tema che incredibilmente i compagni faticano a rendere proprio. Eppure in Italiae non solo, la situazione per la donna sta progressivamente tornando a peggiorare. Eppure il femminicidio è un crimine così diffuso da esser diventato prerogativa culturale del maschio italiano. Ebbene, io vorrei che se ne parlasse, dibattesse.

Pensieri che si alternano e si impongono, mentre la Festa si avvicina. Vi aspetto tutti compagni e amici, con tutto l’entusiasmo che possiamo metterci.

A questo indirizzo tutte le informazioni sulla festa:  http://fornoantifascista.wordpress.com/

Pubblicato in Antifascismo, Le nostre feste, Massa Carrara | Contrassegnato , , , | 1 commento

Abdelaziz, 20 anni, si è impiccato per un foglio.

Ieri l’altro Abdelaziz si è impiccato, aveva 20 anni.

Si è ammazzato perchè gli avevano rifiutato il permesso di soggiorno a causa di alcuni reati (spaccio, piccoli furti), che evidentemente erano sufficienti per vedergli attribuita una pericolosità sociale. Abdelaziz viveva in Italia da diversi anni, era stato anche ospite di una casa-famiglia negli anni in cui era ancora minorenne. L’arresto per spaccio l’aveva subito qui a Massa.

Non conoscevo Abdelaziz, ma probabilmente l’avrò incontrato ai tempi del suo soggiorno nella nostra città. Non lo conoscevo, ma posso immaginare una storia: storia di difficoltà sociale, di emarginazione, di espedienti per vivere. Di fastidi provocati e di repressioni ricevute. Ne conosco molti di ragazzi appesi a un foglio che non arriva e che non vuole arrivare, o semplicemente Stranieri, in una terra che ha scordato la comprensione e l’accoglienza.

Non aveva il permesso e quindi non poteva lavorare; non poteva lavorare e quindi viveva di espedienti; viveva di espedienti e quindi non gli hanno dato il permesso. Vittima di un perverso circolo vizioso di cui siamo profondamente responsabili. Responsabili di voler conservare il fottuto privilegio di esser nati nel primo mondo, per il quale riteniamo di avere una sorta di precedenza, all’interno di questa porzione di terra. Responsabili di sentirci altri rispetto a chi viene da fuori.

Lo voglio gridare una volta per tutte: è completamente innaturale e disumano aver basato la nostra civiltà sulla separazione in Stati, in nazioni. Sono innaturali i confini e le barriere, le odio, dobbiamo abbatterle. E’ ora che noi compagni torniamo a scoprire il senso profondo dell’internazionalismo.

Addio Abdelaziz, vittima della meritocrazia occidentale.

Pubblicato in Antirazzismo, Repressione | Contrassegnato , , | Commenti disabilitati su Abdelaziz, 20 anni, si è impiccato per un foglio.

Il caso Pussy Riot. Fra autocritica, complottismo e Antifemminismo.

Non c’è dubbio, il caso Pussy Riot ha prodotto sconquassi. E gravi errori di valutazione.

Innanzitutto un’autocritica da parte di chi scrive. In un post intitolato “I casi Assange e Pussy Riot non riguardano la libertà di parola”  http://redrouge.noblogs.org/post/2012/08/17/i-casi-assange-e-pussy-riot-non-riguardano-la-liberta-di-parola/ provavo ad inserire la vicenda della repressione ai danni del Collettivo femminista russo all’interno di una più complessiva operazione repressiva che colpiva e colpisce tutte le voci discordanti. In particolare provavo a sottolineare come un’azione provocatoria contro il potere, in un’epoca in cui esso detiene il monopolio della forza, può portare a rotture culturali importanti e conseguentemente riproducibili in diversi contesti. Tuttavia sottovalutavo un fattore determinante che è emerso con tutta la sua dirompenza in alcune prese di posizione di compagni e militanti (tutti, ovviamente uomini): la reale forza dell’azione delle Pussy Riot sta nell’essere stata prodotta da un collettivo femminista!

Ancora una volta l’ambiente antagonista del nostro paese viene colto in flagrante: laddove l’azione provocatoria, il gesto di rottura, l’operazione dirompente è opera di una realtà femminile che fa della propria appartenenza di genere una delle maniere di proporsi, ecco fioccare con incredibile puntualità i distinguo, le prese di distanza, addirittura le accuse di complottismi vari.

Fra le varie amenità lette in diversi ambiti, mi ha colpito la necessità di produrre una sorta di galleria delle priorità fra i soggetti che meritano la solidarietà: l’operaio di Taranto è un puro esponente della classe potenzialmente rivoluzionaria e si guadagna ovviamente il primo posto; Julian Assange con la sua offensiva contro il potere si guadagna il secondo posto; e così via.

Meritiamo ben altro ed esigiamo ben altro per modificare la società in cui viviamo. E finchè gli ambienti militanti abbondano di soggetti di questo tipo, le azioni radicali ed estetiche, provocatorie all’eccesso, resteranno necessarie: che cento polli nella vagina fioriscano!

Pubblicato in Antisessismo, Repressione | Contrassegnato , , | 1 commento

I casi Assange e Pussy Riot non riguardano la libertà di parola.

-Julian Assange ha ottenuto asilo politico dall’Ecuador di Correa.

-Le militanti del gruppo musicale “Pussy Riot” sono state condannate a due anni di carcere.

-La verità è sempre rivoluzionaria.

 

Due processi, fortemente mediatici e assolutamente inediti hanno tenuto banco nelle cronache più recenti. Due processi che i media progressisti mondiali hanno provato a derubricare alla categoria “libertà di parola”.

Julian Assange, attivista australiano noto per la sua straordinaria militanza in Wikileaks, è stato condannato per una ridicola messinscena: il reato contestatogli sarebbe quello di aver avuto rapporti sessuali non protetti, seppur consenzienti, con due donne, Anna Ardin  e Sofia Wilén, e di aver successivamente rifiutato di sottoporsi ad un controllo medico sulle malattie sessualmente trasmissibili, condotta considerata criminosa dalla legge svedese. Come è noto Assange rischia l’estradizione negli Stati Uniti dove potrebbe esser processato per Alto Tradimento, rischiando una pesante condanna, perfino la pena capitale. Da qui l’apertura dell’Ecuador di Correa nei suoi confronti.

Maria, Yekaterina e Nadezhda, tre delle componenti del gruppo punk russo “Pussy Riot” sono state condannate a due anni di carcere per aver inscenato una provocatoria protesta anti-Putin nella Cattedrale di Mosca, con tanto di segno della croce e preghiera punk. Il gruppo “Pussy Riot”, è un collettivo femminista e politicamente impegnato, che ha fatto della provocazione il suo principale mezzo di comunicazione.

I media Occidentali hanno immediatamente aperto il dibattito sulle due vicende. L’obiettivo delle ammiraglie dell’informazione nostrana, a partire dal tg1 e da Repubblica è stato quello di portare i termini della discussione, come dicevo,  sulla “libertà di parola”. E’ giusto o meno condannare qualcuno perchè afferma presunte verità, fortemente scomode o addirittura pericolose per la sicurezza nazionale (come nel caso Assange)?

Credo si tratti ancora una volta di un’abile operazione per spostare i termini della discussione. Parlare di questo significa non prendere in considerazione la reale portata delle due offensive, che, seppur profondamente differenti tra loro, possono essere accomunate dalla volontà di schiacciare ogni voce ribelle, ogni gesto di rivolta, sia esso radicale e provocatorio o tecnicamente disvelante.

No, non si tratta di parola. Si tratta di potere. Assange con le sue verità raccontate al mondo, verità che in fondo non avevano nulla di così strordinario se non la capacità di denigrare il potente di turno, se n’è preso gioco. Così come l’ha schernito l’azione delle Femministe russe.  E il potere ha sempre temuto più di tutto chi ha avuto la forza e il coraggio di smascherarne le trame e ridicolizzarne le caratteristiche.

Oggi più che mai, in un’epoca in cui dobbiamo reinventare il nostro attacco al potere, perchè le esperienze passate non sono immediatamente riproducibili e perchè il monopolio della forza è sua prerogativa, dobbiamo far nostre queste battaglie. Quella di Assange e quella delle Pussy Riot.

E se proprio vogliamo parlare di “parola” è per sottolineare la forza di chi appropriandosene ha segnato una discontinuità, offrendoci una azione realmente rivoluzionaria.

Pubblicato in Antifascismo, Repressione | Contrassegnato , , , | Commenti disabilitati su I casi Assange e Pussy Riot non riguardano la libertà di parola.