Confessione pubblica del candelotto di dinamite trovato su un traliccio dell’Alcoa.

Cari amici, vi devo delle scuse.

Ho provato a dimenticare i fasti del tempo che fu. Ho provato a starmene buono buono, in attesa di un impiego nobile. Ma devo anch’io sfamare una famiglia ed ho anch’io un orgoglio: mi sono sentito attratto da un’ultima impresa che potesse darmi un briciolo finale di fama. Si, lo so. C’è stato un tempo che noi candelotti avevamo un’importante funzione sociale: eravamo fedeli compagni di lavoro di operai troppo sfruttati e spersonalizzati. Li aiutavamo nelle operazioni quotidiane al servizio dei padroni. Ma proprio per questo, avemmo un sussulto di ribellione e ci accordammo con gli sfruttati per aiutarli a colpire l’aguzzino di turno.

Ah, che bei tempi, quando al solo sentire il nome della famiglia Dinamite, il potente temeva la rivolta.

Poi arrivarono i tempi della crisi. Venimmo abbandonati a noi stessi. Neppure nel lavoro ci utilizzavano più. La tecnica e la tecnologia avevano fornito agli operai strumenti diversi, nessuno di questi sufficiente per una vera emancipazione. E a noi non restò che rivolgerci ai potenti, agli sfruttatori, alla repressione. Fu difficile dover ingoiare il fatto di essere impiegati per spaventare le masse, reprimere le lotte, spoliticizzare le rivolte. Ma, insomma, come potevamo arrivare a fine mese?

Dopo tutto il periodo delle stragi nell’Italia della strategia della tensione, avevo deciso di ritirarmi a vita privata. Va bene essere un candelotto, ma, insomma, ho anch’io una coscienza di classe, seppur mescolata con la farina fossile e le sostanze assorbenti.

Però il tempo passa, la vecchiaia incombe e un sottile velo di depressione mi ha colpito. Così quando mi si è offerta la possibilità, accecato da onore e fama, ho detto di sì.                         In fondo non si sarebbe trattato di una vera esplosione: sarebbe stata semplicemente la mia sola presenza, come nei bei tempi andati, ad incutere terrore. E se veniva fatto al servizio dei potenti…beh…insomma pazienza.

A Portovesme, in Sardegna, un gruppo di operai hanno cominciato una sacrosanta lotta disperata per il posto di lavoro. Sono le ennesime vittime del processo di ristrutturazione in atto nel mondo Occidentale. Il Capitalismo deve salvare sè stesso e i suoi artefici, i ricchi. Non guarda in faccia a nessuno e men che meno a lavoratori di una multinazionale americana. Insomma… perchè avrei dovuto farmi io problemi di coscienza? Li hanno scaricati tutti: i padroni che guardano solo al profitto, i politici che difendono il sistema vergognoso in cui siamo, i sindacati che spengono ogni vero barlume di rivolta….

Ebbene ho accettato la proposta del potente di turno, anzi del rappresentante del gruppo di interessi. Mi son fatto legare ad un traliccio all’interno dello stabilimento. E’ stato sufficiente questo affinchè i profeti della repressione, i rappresentanti del potere potessero attaccare la lotta e provocarne la sconfitta certa.

Ma non ho resistito. Sono anch’io un proletario, un candelotto proletario. Confesso le mie colpe e anche quelle di altri miei compagni candelotti vendutisi al potente di turno, per seminare terrore e sconfiggere le lotte per la giustizia sociale.                                               Due sole richieste finali avrei da fare. Innanzitutto quella di porgere le mie scuse ai lavoratori dell’Alcoa. E poi, soprattutto quella di insegnare alla mia famiglia, ai miei figli, ciò che non sono stato in grado di fare io, magari facendovi aiutare da “Storia di un impiegato” di De Andrè: non ci sono poteri buoni, se non quelli in mano al popolo.

Un Candelotto

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