Tre giorni di cattivi pensieri su forconi, forche e forchette

Lungi  da me il voler fare il sociologo, non ne sono capace anche se mi piacerebbe.  Scrivo i miei pensieri, validi come quelli di chiunque altro provi a riflettere  su un fenomeno. Prendeteli con la dovuta cautela, il dovuto distacco, il dovuto  rispetto.

Da  lunedì 9 dicembre l’Italia, ma soprattutto alcune città d’Italia, sono  attraversate da una radicale protesta, che mette in campo alcune generiche  richieste, alcuni obiettivi, alcuni soggetti. Si è assistito a una mobilitazione  complessa e contradditoria, di classe non consapevole di sè, ma al tempo stesso  interclassista. Ne sono stati protagonisti padroncini e piccoli imprenditori,  agricoltori e partite Iva, proletari e studenti, sottoproletari delle periferie  e ultras. In piazza alcune componenti politiche hanno provato a farsi interpreti  della protesta: in particolare i piccoli partiti della destra radicale, ma anche  alcuni storici militanti della Lega e del Pdl. Il Movimento antagonista nel suo  complesso ha provato con ritardo a capire le logiche della mobilitazione,  mostrando inizialmente un generico rigurgito di condanna, partito dal commento  del sempre acuto Osservatorio sulle Nuove Destre di Milano, per poi cercare di  comprendere le dinamiche e le ragioni della protesta (più le dinamiche che le  ragioni, a dire il vero): la componente dei Centri Sociali facente riferimento a  Infoaut, si è lanciata in una difesa della mobilitazione, nelle sue  contraddizioni. La Sinistra istituzionale ha criminalizzato in toto la tre  giorni, rifiutando un approccio politico, e mostrando una superficialità che è  ormai diventata segno distintivo. Proviamo a capirci qualcosa di più.

Innanzitutto  la protesta. Non mi piace, non lo nascondo. Per i temi che mette in campo, e per  quella portata di immaginario di cui si caratterizza. Tricolore e pulsione  identitaria, richiesta particolare e individualista, obiettivi borghesi. E poi  la solita “sparata” sulla casta, sul nè rossi nè neri, sulla politica come male  supremo. E’ una protesta di destra non già perchè è stata intercettata da  soggetti politici (o autodefinitisi tali) di destra, quanto perchè i temi che  richiede sono di destra: conservatori e nichilisti. E perchè la componente che  ne determina la parola è socialmente di destra: il lavoratore autonomo. C’è  ovviamente un Però, altrimenti non saremmo neppure a discuterne. E questo Però è  dovuto al fatto che la genericità delle richieste, la semplicità delle parole  d’ordine, l’immediatezza delle rivendicazioni ha fatto si che un’intera  componente di classe ne venisse attratta e ne individuasse il terreno in cui,  forse per la prima volta, poter articolare la propria rabbia. Una pulsione  anti-sistema, potenzialmente rivoluzionaria che va compresa e perchè no,  intercettata. Una forza riottosa, non necessariamente positiva, che ad esempio,  a mio parere non ha mai avuto il M5S. Se una grossa componente del proletariato,  nella sua forma attuale, è mobilitabile su parole d’ordine conservatrici, non  credo sia da criminalizzare il proletariato, quanto piuttosto sia da ridiscutere  l’ordine del discorso che gli abbiamo proposto noi. Inoltre, da ultimo ma non  meno importante, un diffuso desiderio di ridiscutere la legalità imposta, di  mettere in discussione la propria vita e la propria sicurezza, semplicemente  perchè vita e sicurezza non esistono nei soggetti che subiscono gli effetti  della crisi. Le forze istituzionali della sinistra, partitica e  associativa, stanno mostrando ancora una volta i propri limiti nel non  problematizzare ciò a cui si trovano davanti. Tacciare di opportunismo, di  delinquenza o ancor peggio di fascismo, la protesta nel suo complesso è sintomo  non soltanto di quella miopia determinata da anni e anni di solitudine nei  palazzi del potere senza scendere nelle strade e nelle piazze con le loro  contraddizioni e complessità, ma anche di quella voglia sfrenata di applicare le  categorie di una società superata ad un oggi ricco di problematiche. All’armi  son fascisti…e tutto quello che ne consegue compreso il consueto appello alla  Costituzione e alla sacralità delle istituzioni.

Infine  i Centri Sociali e la proposta di Infoaut. Sono d’accordo bisogna sporcarsi le  mani, bisogna scendere dai piedistalli in cui troppo spesso ci siamo sentiti  forti e vincenti, protetti dal fatto di condividere la lotta con chi la pensa  come noi. Dobbiamo intercettare la classe, consapevoli della necessità di  reinventare anche semplicemente il modo stesso in cui ci si fa classe. E forse  riattraversare una prassi meno consueta per reimpostare una teoria più  confacente ai tempi. Ma attenzione, tanto più complessa è la società, quanto più  complessa è la lotta per la trasformazione dell’esistente. Ed è fatta di lotta  sui vari livelli, di incisione sul reale, ma anche di analisi e di incisione  sull’immaginario. Se ad incidere su questi piani, sono parole d’ordine, pratiche  e ideologie reazionarie, la risposta sarà necessariamente reazionaria. Così,  sporchiamoci le mani e apriamo un canale di comunicazione con una componente di  classe che altrimenti ci sfugge, avete ragione. Ma facciamolo in altri luoghi e  in altri momenti, nella vita e nella lotta di tutti i giorni e non nelle piazze  determinate dalle parole d’ordine della borghesia reazionaria. Abbiamo la  possibilità di articolare un discorso complesso con parole semplici, non  rinunciamoci in partenza.

Nel  buttare giù questa riflessione, che serve più a me per mettere ordine ai  pensieri che non a qualcun’altro, ammetto la difficoltà della situazione e  l’insufficienza della mia prospettiva, di precario ma garantito, circondato  anche lavorativamente dalla complessità del sociale e dalla dirompenza della  disperazione. Ma lo ammetto: fra i Forconi di questa protesta, le forche a cui i  militanti duri e puri vorrebbero appendere gli intellualoidi/sociologi e le  forchette di una sinistra istituzionale che pensa solo a rimepire la pancia,  preferisco rimanere tigre di carta davanti a una tastiera e dietro un monitor. E  osservare per ripartire.

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