Quando cammino nelle manifestazioni, penso.
Si, mi piace perdermi nei cortei e riflettere. Forse perchè mi sento protetto, coccolato, invitato a pensare.
Ieri a Firenze ho potuto farlo mirabilmente, accompagnato dai canti di preghiera senegalese.
E’ stata una manifestazione straordinaria. Nel senso che è andata ben al di là dell’ordinarietà dei nostri cortei tradizionali, fin dalla partenza da Massa: tantissime persone, tantissimi senegalesi. Tutti i compagni di una vita, giovani e meno giovani.
E poi l’arrivo a Rifredi e il treno che si svuota. E la gente che comincia a scendere e non finisce più. Tante facce senegalesi sorridenti, tese, arrabbiate, solari. Tante facce italiane, forse un po’ stranite, ma felici, estremamente felici.
Firenze è straordinaria in queste situazioni. Accoglie il corteo, vi partecipa, comunica e ascolta. Non si merita un sindaco come Renzi.
Esiste un proletariato migrante che può sconvolgere la politica italiana. Che porta la rivoluzione possibile direttamente a casa nostra. Che sconvolge le nostre pratiche ormai stanche, che osa.
Il potere comincia a capirlo, lo teme fortemente: e quindi o lo reprime o cerca di inglobarlo. Ma anche noi, movimento antagonista, ne subiamo la novità dirompente. Questo proletariato, etnico e interetnico allo stesso tempo, comincia a presentarci il conto. Ed è un conto salato per le nostre coscienze politiche: ci dice che la rivolta è possibile semplicemente perchè ha già cominciato a praticarla, senza paura di equilibri politicanti da rispettare. Ci dice che noi siamo rimasti indietro e che se vogliamo stare al passo, dobbiamo abbandonare le titubanze delle alchimie classiche e le esitazioni del “vorrei ma non posso”.
Sono contento.
Grazie Senegal d’Italia, piango anch’io i tuoi morti.