Mie considerazioni sulla giornata di ieri, 15 ottobre. (16/10/11)

Con ancora negli occhi il fuoco dei simboli del capitale e nella gola il sapore acro dei lacrimogeni, provo a buttar giù sotto forma di elenco alcune piccole considerazioni sulla giornata di ieri, 15 ottobre 2011.

Una giornata globale di mobilitazione contro il capitale ha avuto a Roma il suo apice con scontri di una violenza inaudita e per certi versi sorprendente. Un gruppo nutrito (diverse migliaia) di manifestanti è scesa in piazza con l’obiettivo dello scontro fisico. Ho visto uno spezzone gigantesco determinato a trasformare la consueta sfilata della “gauche plurielle”, a posteriori sempre elogiata come si esalta un orso bianco in uno zoo, in una presa di parola inedita, scioccante, dissacrante. E se questo parola non era un discorso articolato in cui elencare, come in una stanca litania, le nostre richieste, se questa parola emergeva solamente come un incomprensibile suono gutturale, per questa volta è sufficiente così. Uno “sgrunt” urlato ai quattro venti, incomprensibile ai più, ma ben chiaro a chi come noi è costantemente vittima di ogni politica.

Non sto ad ammorbare su chi oggi esercita la reale violenza, su chi la subisce giornalmente, su chi è marginale, in una società in cui stare oltre i margini è diventata consuetudine. Non sto neppure a sottolineare come siano false e stancamente giustificatorie le considerazioni secondo cui quella di Roma era una sparuta minoranza che ha agito contro la maggioranza, cancellando di fatto i temi proposti dal Movimento nel suo complesso.

Quello che voglio affermare è che anche in Italia ieri si è rotto un tabù: il tabù della violenza come male supremo, la necessità del “dover dire” anche quando non c’è nulla da dire. Questo mondo è irriformabile e chi ne subisce le storture sempre più terribilmente, ha solo la possibilità di abbatterlo per disegnare un’alternativa possibile. E se ieri questa alternativa non si è per nulla intravista, se quello che è emerso è solo un riot discriminatorio e nichilista è perchè non si prova a leggere la realtà dietro le nebbie di una cultura del potere che ci ha pervaso.

Molte persone, molte di voi, vanno dicendo da tempo ( in maniera a mio parere errata) che in Italia dormiamo e che accettiamo tutto senza ribellarci. Ebbene, ora che  il 15 ottobre la ribellione è stata finalmente praticata, cosa avete da dire? Molte altre, inoltre, vanno elogiando le rivolte di altri stati ( dalla Grecia alla Francia, dai Paesi Arabi agli Stati Uniti), salvo poi prendere fortemente le distanze da ogni istanza minimamente ribelle in Italia. E’ probabilmente ora di uscire dall’ambiguità di dire che siamo impotenti di fronte ai giochi di potere del palazzo e poi di fronte al palazzo in fiamme scateniamo la caccia al colpevole, al violento, al riottoso.

Molte altre cose ho visto e vorrei dire e raccontare.

Ma voglio chiudere con questa immagine: in pullman verso Roma, all’andata, di fronte al consueto clima da allegra scampagnata di gitanti fuori porta della domenica, mi son sorpreso a pensare all’inutilità delle manifestazioni/sfilate in cui crediamo di aver “comunicato” le nostre istanze di nuovo mondo, salvo poi venir schiacciati dal monopolio mediatico-semantico del giorno dopo. Ebbene al ritorno finalmente non la pensavo così.

Abbiamo fatto un passo avanti o uno indietro per cambiare questo mondo? Non lo so. Ma credo che è stata messa in atto una progressiva  trasformazione dell’immaginario collettivo. E mi sembra abbastanza

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