Quando il fuoco degli altri purifica di più

La Tunisia e l’Egitto. La Turchia, la Grecia e la Bulgaria. Ora il Brasile e di nuovo l’Egitto. Un bel pezzo di mondo sta bruciando. E’ inutile e fuorviante esaltare i punti di contatto, viste le specificità, ma l’elemento in comune è il fuoco. Fuoco delle coscienze e delle libertà. Fuoco delle macchine, dei negozi e dei blindati della polizia. Accese le micce delle speranze collettive, prima che individuali. Il caldo di quelle fiamme arriva anche da noi e scalda il cuore. Non esistono lotte locali, quindi è una rivolta per tutti. Anche per chi si trova a domandarsi sulla possibile riproducibilità di quelle dinamiche.

Facebook è dispersivo. E’ un social network pericoloso perchè anzichè descrivere la realtà, rischia di sostituirvisi. Eppure è uno specchio, seppur deformato. Su facebook le vicende che infiammano gli altri paesi vengono seguite attentamente. Aprono desideri di emulazione, voglie di quella riproducibilità di cui sopra. Su facebook spesso ti capita di assistere a un paragone: da una parte l’elenco dei paesi in rivolta, dall’altra la presunta staticità italiana. “In Italia si scende in strada solo per il calcio”, si legge.

L’Italia non è statica. In Italia ci sono miriadi di piccole rivolte quotidiane, negli angoli più remoti, per i motivi più disparati, tutti accomunati dal desiderio di un altro mondo. E poi ci sono grandi momenti collettivi in cui quel fuoco, lo stesso fuoco delle primavere arabe, degli anticapitalisti turchi e brasiliani, degli anarchici e dei comunisti greci, brucia. E il fuoco quando brucia non riesce a controllarsi. Tanto meno ha rispetto per chi vorrebbe porvi un controllo, deciderne una direzione.

Quando in Italia si assiste a momenti di rivolta locali o globali (ma sono tutti globali, dicevamo, non esistono lotte locali), improvvisamente si assiste a una presa di distanza collettiva. I mezzi d’informazione e l’opinione pubblica, gli intellettuali, i benpensanti e anche tutti quelli che guardano alle rivolte d’altrove con ammirazione, il vicino di casa e l’edicolante di fiducia, tutti si indignano. E’ successo il 14 dicembre, il 15 ottobre e il 3 luglio. E’ successo nelle contestazioni ai ministri o ai potenti, nelle lotte per la difesa del posto di lavoro o contro la carcerazione dei migranti. D’ogni dove la caccia al cattivo piromane. E su facebook, ovviamente.

Non so se ci avete fatto caso, ma quelli che ripetono come un mantra il paragone con le rivolte degli altri paesi per sottolineare l’assenza di movimento da noi, sono i più forcaioli nell’accusare ogni focolaio di ribellione interna. Fioccano i distinguo, si scatena la litania della non violenza. Si propaga il desiderio di legalità.

Il Movimento è come un fiume, si diceva una volta. Scorre sotterraneo per lunghi tratti, poi improvvisamente fuoriesce. E intanto scava, sottoterra e in superficie. Erode la pietra. Quando esce è potente, ma è incontrollabile, invade tutto, provoca sconquassi, non è arginabile. E incendia. Dall’acqua al fuoco. Su facebook il fuoco dei paesi lontani purifica di più. Si chiama ipocrisia. Altro mezzo in mano al capitalismo medievale.

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