La meritocrazia è una forma di governo dove le cariche amministrative, le cariche pubbliche, e qualsiasi ruolo che richieda responsabilità nei confronti degli altri, è affidata secondo criteri di merito, e non di appartenenza lobbistica, familiare (nepotismo e in senso allargato clientelismo) o di casta economica (oligarchia).
Uno sguardo veloce alle cronache dei nostri tempi ci porta a verificare un problema molto grave diffuso dovunque, ma con alcune specificità italiane che ne amplificano la gravità. Si tratta del fatto che alcune caratteristiche ben lontane dalle capacità personali, sono fondamentali per poter emergere in molti campi, a cominciare da quelli amministrativi. “Qualità” come le parentele che puoi esibire, il tuo aspetto fisico, la propensione alla sopportazione delle angherie sembrano imporsi come criterio di selezione in moltissimi ambiti.
Contro questa gravissima tendenza da più parti viene introdotto il concetto di “meritocrazia”, come necessità di adottare nuovi criteri di selezione per determinare le graduatorie di inserimento nei vari campi. Detta così, e tenuto conto delle gravi storture del nostro sistema, sembra una misura logica e necessaria. Io vorrei al contrario metterne in evidenza alcune problematiche e soprattutto sottolineare l’uso che ne viene fatto dal Capitale e dalle classi dominanti.
Innanzitutto una considerazione che deriva in primo luogo dal mio lavoro in ambito sociale nei contesti disagiati e che emerge anche da una visione della società nel suo complesso: introdurre la “gara del merito” è fondamentalmente ingiusto e politicamente grave. E’ come focalizzarci sull’arrivo di una corsa nella quale la linea di partenza è completamente diversa da soggetto a soggetto. Gli adepti di quella follia culturale chiamata Darwinismo sociale sono fondamentalmente i primi sostenitori di una concezione di questo genere: nella “Struggle for life and death” il merito è determinato dalle condizioni di partenza.
Ho avuto l’immensa fortuna, come dicevo, di operare un lavoro come educatore in contesti multiproblematici. E ho avuto la fortuna di conoscere ragazzi eccezionali, con l’unica colpa di partire infinitamente più indietro degli altri. Ebbene, in questi mondi ti rendi conto di come il concetto di Meritocrazia sia completamente fasullo, di come l’intelligenza sviluppata sia indirizzata verso contesti “altri” ben lontani da quelli nei quali si dovrebbe tener conto del presunto Merito. Il fatto di partire indietro si concretizza in primo luogo in una gamma assolutamente limitata di orizzonti possibili.
Ma c’è un problema ancor più grave ed emerge dal linguaggio delle classi dominanti. Ministri e imprenditori, uomini di potere di tutte le risme si riempono la bocca con il concetto di “Meritocrazia”, apparentemente con l’intenzione di incidere sulle storture dei criteri di selezione. Più concretamente con la volontà di cristallizzare, anche a livello semantico una differenziazione sociale imposta, da mantenere forzatamente. Il riscatto sociale delle classi subalterne è stato il motore della storia. L’aspirazione all’uguaglianza ha mobilitato milioni di persone ed è fondamentalmente il pericolo sociale più concreto per il Capitalismo e per i suoi “cani da guardia”. Introdurre, come necessità culturale, il “merito” come criterio selettivo, è la maniera migliore per arginare ogni spinta al riequilibrio sociale. “L’operaio che voleva il figlio dottore” non lo deve avere non soltanto perchè c’è corruzione a livello di scelta, ma anche e soprattutto perchè deve passare la concezione che non possa essere concettualmente una sua aspirazione.
Il problema delle gravissime storture nell’inserimento in ruoli sociali di rilievo, tuttavia resta. Io intendo solo attaccare il concetto di “Meritocrazia” che si sta imponendo. E chiudo con una provocazione: siamo sicuri che, in un sistema sociale che ha fatto dell’ingiustizia il suo concetto cardine, aspirare ai livelli più elevati della catena sociale, sia politicamente corretto? O piuttosto non contribuisca a togliere energie ai processi di trasformazione?
Sono fiero di rimanere lavorativamente nei bassifondi, di sporcarmi quotidianamente le mani nelle vicende degli “ultimi”, di contribuire, nel mio piccolo, a portare l’idea del riscatto sociale e collettivo. L’unico Merito che mi riconosco è la possibilità di accompagnare ragazzi e ragazze verso una possibile appropriazione del proprio destino, e che questo destino sia il più ampio possibile.